GENTILEZZA O FORMALITÀ?
Di Giacomo Papasidero
Vivo in un piccolo paese nella provincia di Reggio Calabria in cui usanze e abitudini si mantengono più resistenti che nelle città dove senti maggiormente i cambiamenti della cultura. Cos’è il rispetto?
Senza dubbio una persona gentile rispetta gli altri. Mi ha sempre colpito però come spesso si confonda il rispetto con l’ipocrisia, la formalità. Nel mio paese, e così anche in tantissimi altri senza dubbio, non è difficile che le condoglianze siano portate ai parenti del defunto anche da persone che con quella famiglia neanche si salutavano incontrandosi per strada.
E dopo il funerale, quasi certamente, riprenderanno a non salutarsi. Gentilezza, rispetto? O semplice ipocrisia “da circostanza”, un comportamento formale tenuto “perché si fa così”, per non subire i giudizi negativi delle persone con cui si vive ogni giorno?
Essere gentili significa indubbiamente rispettare gli altri, ma così come possiamo fingere di amare (facendo gesti che sono solo comportamenti esteriori), possiamo simulare il rispetto limitandoci solamente a scelte, parole e azioni che “ci si aspetta”, ma che non sentiamo neanche un po’ dentro di noi.
Essere gentili non significa compiere un gesto. Significa sentire dentro di noi di volerlo fare e poi tradurlo in pratica. Le gentilezza, come il rispetto vero, partono da dentro e non sono semplicemente qualcosa di esteriore che si vede o si fa.
Se vogliamo però essere davvero persone gentili, se vogliamo che la gentilezza diventi il nostro modo di essere e vivere, senza ipocrisie, allora dobbiamo imparare a rispettare davvero gli altri, e noi stessi, liberandoci dalle trappole delle apparenze e della “finta educazione”.
Essere rispettosi significa essere sinceri. Imparare a dire ciò che pensiamo, in modo gentile, non aggressivo, senza mai dimenticare che la nostra opinione non deve necessariamente essere condivisa e apprezzata da tutti. Il rispetto comporta sincerità perché questo vuol dire che diamo davvero valore alle persone a cui non mentiamo e a cui non offriamo gesti che sono falsi rispetto ai nostri reali sentimenti.
Rispetto significa trattare le persone esattamente come noi vorremmo che loro ci trattassero. E qui, ovviamente, torna sempre il discorso che abbiamo fatto sull’amore, sul dare agli altri in modo incondizionato.
La sincerità, inoltre, è anche la strada migliore per ottenere rispetto autentico anche dagli altri. Noi rispettiamo di più chi mente e ci inganna, o chi ci dice la verità, pur avendo un punto di vista diverso dal nostro?
Pensiamo ai politici: ci fidiamo di più di un politico che dice le cose come stanno, anche se non gli è del tutto conveniente, o di uno che sappiamo menta spudoratamente per farci vedere la realtà come preferisce?
Se iniziamo a dire quel che pensiamo, con gentilezza ovviamente, iniziamo a guadagnarci il rispetto degli altri, sia perché siamo onesti con loro, sia perché gli diamo modo di conoscerci davvero, di scoprire chi siamo al di là di maschere e mezze verità.
Il rispetto per gli altri non consiste nel comportarci come “ci si aspetta”, ma nel comportarci con sincerità nei loro confronti, nel saper perdonare un loro errore, nel saperci fidare di ciò che loro sono, pur con i loro limiti e i loro difetti.
Rispetto deriva dal verbo latino respicere, e come già sosteneva anche Erich Fromm nel suo libro “L’arte di amare”, rispettare qualcuno significa “vederlo” davvero, vederlo come è.
Se vogliamo dare rispetto, dunque, dobbiamo amare gli altri, apprezzarli nelle loro qualità e accettarli con i loro limiti, imparare a fidarci del loro potenziale, essere sinceri con loro, perché solo così li trattiamo come ci piacerebbe essere trattati. E proprio perché siamo sinceri, diamo alle persone la possibilità di “vederci davvero” per come siamo realmente.
C’è un semplice esercizio che può aiutarci ad andare in questa direzione facendo così crescere anche la nostra gentilezza: dire sempre quel che pensiamo. Dirlo, vale la pena ripeterlo, con parole cortesi e senza aggressività, trovando il modo giusto.
Non solo questo ci permette di essere sinceri, mostrarci agli altri e uscire dalle paludi dell’ipocrisia sociale (i “si fa così” che tutti seguono ma in cui nessuno crede veramente), ma anche di poterci mettere in discussione riflettendo su quello che pensiamo (e diciamo!), imparando a chiederci se sia davvero così che stanno le cose.
E imparare che la gentilezza richiede sempre la nostra libertà e che quest’ultima dobbiamo però imparare a gestirla in modo consapevole per non farla sconfinare nell’anarchia. E di questo parleremo tra qualche settimana.